Ho passato l’ultima settimana a litigare con me stessa, e poichè il motivo del litigio ha a che fare con una decisione politica, e poichè qualcuno potrebbe chiedersi per quale ragione sostengo (su facebook, nel blog, in generale) il Senatore Ignazio Marino nella sua candidatura a Segretario del Partito Democratico, ma alla fine ho deciso di non iscrivermi al PD (che sarebbe il modo forse più semplice per farlo), mi pare corretto abbozzare una breve spiegazione.
Trovo che la candidatura del Senatore Marino rappresenti una svolta epocale nel PD. Il Senatore è un iscritto e un eletto, ma di fatto non ha mai fatto parte della cosiddetta nomenklatura. Anzi, spesso si è attirato gli strali non solo dei Teodem per le sue posizioni sulla laicità, sulla ricerca e sul testamento biologico, temi che come è noto mi sono particolarmente cari. Ora, non è tanto il merito delle sue posizioni a stupire, oramai è doxa comune che la maggior parte degli italiani queste posizioni le condivide, quanto il modo con il quale il Sen. Marino affronta questi temi: con coraggio, determinazione, lucidità, senza incartarsi in quel classico politichese che dice tutto e il contrario di tutto; una volta si sarebbe detto “senza se e senza ma”.
E’ questa, a mio avviso, la vera novità della sua candidatura, in una prospettiva politica nella quale il centrosinistra, o quel che ne è rimasto, bofonchia qualche mezza affermazione pur di non farne una intera, dove il veltroniano “Ma anche” è diventato la bandiera, e la misura. Oltre naturalmente al fatto che condivido la piattaforma politica che sta alla base della proposta Marino, dato che necessariamente in politica oltre alla forma bisogna badare anche alla sostanza.
E allora perchè, davvero dopo tante riflessioni anche dolorose, ho scelto di non iscrivermi al PD?
Le ragioni sono sostanzialmente due, una legata al passato e una al presente, ma entrambe legate tra loro.
Nel mio percorso ho passato una grande parte della mia vita all’interno di uno dei soggetti costitutivi del PD, ovvero l’allora PDS – DS. E’ stata un’esperienza entusiasmante, per me, giovane e volenterosa, perchè mi ha dato modo di imparare tantissimo, di fare molto, di sperimentarmi come mai prima. E però mentre noi si faceva politica tra le persone, con le iniziative, con il dibattito, la maggior parte del partito, di QUEL partito, si occupava d’altro: di beghe e beghette, di fatidiche rese dei conti, della conta dei vivi e dei morti, di un dibattito interno che serviva soltanto all’autosussistenza e all’autosoddisfazione di pochi, e che nulla ha a che vedere, a mio avviso, con il concetto di politica. A me interessava, e interessa ancora, la politica come proposta, come realizzazione concreta degli ideali, come progetto per una società migliore. Una politica dove la meritocrazia e non il burocratismo guidi la scelta della classe dirigente, perchè vorrei una società dove la meritocrazia guidi l’esperienza diretta delle persone. Non sono, ovviamente, per il darwinismo sociale, ma credo davvero che se i migliori guidassero gli ambiti della vita, nell’economia, nella scuola, nel mondo del lavoro, nella politica appunto, sarebbe una società migliore quella in cui viviamo.
Ma tanto fa. Quel partito non era il posto giusto per me, e io meritavo di impegnarmi in un progetto migliore, con persone migliori. Ed è quello che ho fatto, realizzando il mio percorso politico successivo prima in “Oggiperdomani”, poi con “TrevisopiùEuropa” e con l’Associazione Coscioni, e nella mia attuale vicinanza, pur senza appartenenza, con i Radicali: ho scelto di fare le battaglie in cui credevo con persone verso cui ho stima e fiducia, oltre che la condivisione sostanziale della stessa visione del mondo e della politica, anche se necessariamente questo ha significato stare in una nicchia, senza il supporto dell’organizzazione e della visibilità sui grandi temi che un partito ha.
E ho promesso a me stessa che mai più mi sarei abbassata a svilire i miei ideali, e me stessa, in lotte intestine fini a sè stesse, che se politica voglio fare, dev’essere Politica, altrimenti posso stare a casa a leggere qualche libro in più, senza rancore.
Veniamo quindi al presente. Il Senatore Marino fa una proposta, e io la accolgo tutta, in pieno, e gli garantisco il massimo dell’impegno, ma iscrivermi a QUEL partito mi costa troppo. Perchè anche se ha cambiato nome e fisionomia, comunque le beghe son rimaste le stesse, le lotte intestine sono rimaste le stesse, le persone son rimaste le stesse. Anche questa logica della contrapposizione tra i vecchi e i nuovi, che senso ha se non ritornare a occuparsi di sè stessi e non del paese, che tanto non tutti i Vecchi son da buttare, e non tutti i nuovi son da osannare…
E io non posso tollerare di tornare a dividere il mio tempo con loro, e magari – tutto è possibile – a condividere con loro lo stesso impegno per lo stesso candidato. Ho bisogno di essere coerente con me stessa prima di tutto.
Ho un timore, grande. Che anche se Marino vincesse, forse sarebbe capace di rilanciare il PD verso il ruolo che ha, ovvero rappresentare un’opposizione all’interno del Paese e lavorare per essere l’alternativa a questo Centrodestra, cosa che negli ultimi anni il centrosinistra ha smesso di fare, troppo concentrato alle conte e alle sopravvivenze. Ma non credo che riuscirebbe davvero a vincere la battaglia interna con queste logiche e queste persone. E non potrei mai iscrivermi ora e stracciare la tessera quando dovessero vincere le primarie Franceschini o Bersani
Forse tutti i partiti funzionano così, o forse no. Certo questo funziona esattamente così.
E io la battaglia contro questo tipo di logiche l’ho già persa malamente, non me la sento proprio di combatterla di nuovo.
L’ho fatta lunga, lo so, ma almeno mi pare di essere stata onesta.
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