Io non penso che il caso esista, penso che quello che accade abbia sempre un perché, per questo non credo sia un caso che sia capitato in sorte a me, e non a qualche mia collega, la gestione degli aspetti organizzativi di un convegno che all’inizio mi era stato spacciato come “la scuola in pediatria”, ma poi si è rivelato, come dice il titolo, un incontro sull’accompagnamento multidisciplinare -tra personale della pediatria e insegnanti- del bambino malato, spesso del bambino o del minore in senso più lato, in fase terminale.
Mi occupo da anni del fine vita, e mi sono capite occasioni di incontro e di riflessione sul tema, ho frequentato molteplici corsi di formazione illuminanti su questo argomento, e sull’importanza di comunicare la verità al malato, ma la morte dei bambini è un taboo.
Se cercate su google qualcosa del tipo “come dire a un bambino che ha un tumore”, troverete prevalentemente articoli o discussioni inerenti il come comunicare a un bambino che il genitore ha un tumore. Perché è più facile nascondersi dietro a giri di parole piuttosto che guardare in faccia alcune verità.
Due cose mi hanno molto colpito del Convegno di ieri. La prima è stata la delicatezza con cui i relatori hanno affrontato questi argomenti senza ipocrisie o falsi pudori. La seconda è come sia stato più volte sottolineato, è che anche nel caso del minore non si deve mentire. Che non significa dire tutta la verità. Ecco, io credo che la vita stia tutta in questo confine sottile che separa il non mentire dal non dire necessariamente tutta la verità
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