Tra un lavoro e l altro in questi giorni ho visto la versione 2019 di Piccole donne, dopo aver visto tutte le altre versioni cinematografiche, anche se la mia versione è quel librone scritto per bambini a corpo 18 con le pagine con le illustrazioni intere. Quel librone è stata la prima volta che sono stata qualcuno. Prima di essere la Doris Schwarz di Saranno Famosi, prima di essere Cindy Lauper, prima di essere molte altre donne e poi, finalmente, di essere me, io sono stata profondamente e assolutamente Josephine March. Jo. Anche se di notte stavo sveglia a leggere anziché a scrivere, io sono stata Jo. E sono stata fiera di esserlo. Fiera del nostro disprezzo per le convenzioni, orgogliosa di noi e della nostra vita, sofferente perché qualcuno che amavamo, in qualche modo, ci aveva portato via qualcosa. Perché non importa se andare in Europa con la vecchia Zia March avrebbe significato sopportarla. Avremmo dovuto andare noi in Europa, non Amy. E non importa se abbiamo noi rifiutato l’amore di Laurie per preferirgli la nostra amicizia, Amy non avrebbe dovuto sposarlo. Perché non importa se tu non vuoi una cosa, nessuno ha comunque il diritto di portartela via. La rifiuti ma la tieni lì. Jo e la sua autonomia, Jo e la sua solitudine, Jo e il suo altruismo. Sono stata felice quando ha accettato di amare Fritz, quel bel professore tedesco così sensibile e intelligente, l’uomo perfetto per Jo. Ma a quel punto abbiamo smesso di essere una sola, e siamo tornate due, anche se Jo è rimasta un pezzo di me. Perché io sono ancora convinta che l’amore non esiste, o non serve. O forse non ho ancora incontrato qualcuno da rincorrere sotto la pioggia che mi dica che le sue mani sono vuote. Ma non ho più i 20 anni di Jo, e sono rimasta solo io
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