Ferve il dibattito sulla cosiddetta maternità surrogata. Fino a febbraio non se ne fotteva nessuno, dopo che si è cominciato a ragionare della PDL Cirinnà, e soprattutto dopo la “campagna acquisti” di Vendola, pare che sia il problema più urgente di cui occuparsi hic et nunc.
Dico la mia facendo una necessaria premessa: che i cattolici siano contrari lo posso comprendere, fanno come sempre la loro parte. Che siano contrari gli altri, onestamente faccio più fatica. Come diceva giustamente Giampaolo Sbarra, molte delle persone oggi contrarie sono quelle che urlavano in piazza “L’utero è mio e lo gestisco io”. E adesso, non si può più gestire? Andava bene finché si trattava di non avere figli, non va più bene quando si tratta di averli?
Invece di darmi delle risposte provo a pormi delle domande, per analogia, essendo questo un tema in Italia abbastanza nuovo (all’estero no, wie immer)
- Si sono verificati in alcuni periodi storici più che in altri episodi di compravendita di organi. Alcuni in forma di tratta, altri in forma di libera scelta. Non mi pare che qualcuno abbia mai pensato di abolire i trapianti di organo perché questo ha creato del mercato. Si è ovviamente cercato di eliminare il mercato nero e di impedire episodi di sfruttamento economico. Si governa un sistema facendo delle leggi, possibilmente congruenti con quelle degli altri paesi per evitare sacche di sfruttamento, turismo procreativo, etc. Ma la storia va avanti, nonostante i pregiudizi. Il fatto che una gestazione per altri possa essere in qualche modo compensata al pari di una maternità in proprio, mi pare l’ultimo dei problemi. E se le leggi le facciamo, invece di sputare sentenze, forse eviteremo che si formino sacche di mercato, magari “clandestino”.
- Una delle motivazioni principali che si adduce contro l’idea della maternità surrogata è che è “mostruoso” immaginare che tra una donna e il bimbo che porta in grembo non si crei un legame fortissimo che non è possibile sciogliere al momento della nascita. Eppure mi pare evidente che ci sono donne che pur partorendo non diventano mai madri, e altri che lo sono naturalmente senza partorire mai. Continuiamo a considerare l’aspetto naturale e “animalesco” della questione facendo finta che non abbiamo detto negli ultimi 40 anni almeno che la famiglia è una struttura culturale e non sociale, e che i figli sono più di chi li cresce che di chi li concepisce. Per esempio, oggi la società sta tornando all’idea dell’allattamento naturale come un modello preferibile a quello artificiale, al netto degli eventuali problemi che ci possono essere, in parte per ragioni di tipo medico, ma soprattutto per il legame che si crea tra la madre e il figlio che allatta al seno. Eppure per secoli i ricchi mettevano i figli a balia, e tra le grandi famiglie povere chi aveva latte allattava anche i bimbi di chi non ne aveva. I figli erano della comunità, non dei genitori. Non mi pare che nei secoli siano cresciute generazioni di soli bambini corrotti e infelici per non aver goduto del latte materno ma di quello d’altri.
- ci sono mille modi per condurre una gravidanza. Ci sono donne che rimangono incinte senza volerlo e senza saperlo. Ci sono donne che rimangono incinte contro la loro volontà. Ci sono donne che combattono per avere la possibilità di rimanere incinte. Ci sono persone cui avere un figlio è impossibile. Questo per ragioni solo in parte legate all’orientamento sessuale. Ma io credo che o riconosciamo il legittimo desiderio di avere un figlio a chiunque, o dobbiamo disconoscerlo a tutti, perché la discriminazione su questo argomento è davvero troppo dolorosa. Per quale ragione dobbiamo riconoscere il desiderio di maternità a tutte le donne (quando appare evidente che non tutte ce l’hanno) e disconoscerlo agli uomini, per esempio? Eppure abbiamo tutti esempi meravigliosi di padri eterosessuali che sanno essere ottimi padri per i loro figli. E dubito che la scienza abbia mai dimostrato che è meglio avere una buona madre piuttosto che un buon padre.
- Oggi ho discusso su fb con una persona che diceva che l’idea di ospitare nel proprio corpo un figlio è il contrario del senso di maternità. Io questo non lo credo. Penso che invece i nove mesi in cui una creatura si sviluppa dentro il corpo di una donna siano davvero la quintessenza dell’ospitalità. Perché poi il bambino nasce e diventa una piccola persona a sé stante. E tu l’hai ospitato per il tempo che gli serviva a formarsi, ma poi lo lasci andare, e quello che succede dopo non lo puoi sapere. Non puoi sapere se riuscirai a costruirci un rapporto reale, o se lo perderai. Se sopravviverà o se tu sopravviverai. Non lo sai. In quei nove mesi lo ospiti dentro di te senza sapere nulla. Perché allora ospitarlo non per te ma per altri dovrebbe diventare un problema? Io non ho mai desiderato avere dei figli. Ma se una persona a me cara mi chiedesse di occuparmi dei suoi, forse non avrei il coraggio di dirle di no. E se fosse lecito, e mi chiedesse di ospitare un figlio per lei nel mio corpo, forse lo stesso non saprei dire di no.
- Ma soprattutto, seriamente, chi siamo noi per giudicare le vite degli altri? Le vite di chi non ha un figlio e lo desidera. Le vite di chi è disponibile ad ospitare nel proprio corpo un figlio di altri, non suo, solo finché viene alla luce. Io non me la sento di giudicare nessuno, e vorrei tanto che questa questione non facesse la fine dell’eutanasia, che per non urtare la sensibilità di qualcuno c’è gente che va in Svizzera per il suicidio assistito o, come Monicelli, si butta dalla finestra a 95 anni. Proviamo a superare i nostri preconcetti e la nostra idea di normalità e ad accettare che le persone siano diverse da noi, ma non per questo debbano essere condannate. Proviamo a regolare il sistema prima che un sacco di gente si faccia del male. Quante donne sono morte di mammana prima che ci decidessimo a normare l’IVG? Ecco, prima facciamo una norma seria su questi temi meno male si faranno molte persone, adulti e bambini. Non sono madri surrogate che fanno figli per venderli. Spesso nelle esperienze degli Stati Uniti sono donne che hanno già avuto dei figli e che per dimostrare la loro gratitudine per questo donano un figlio a chi non può averne. Le dinamiche sono molto più che economiche. La gestazione per altri può avere una sua dignità, sta a noi se decide di riconoscergliela o criminalizzarla a priori.
- Scusate il tono vagamente catecumenale. Ma il fatto è che se anche io non conosco molto bene l’amore, penso di poter immaginare il dolore di non poterlo vivere. Sono certa che i miei argomenti non piaceranno a molti. Ma se ne facciano una ragione. Nemmeno a me piacciono quelli di molti.