Lo dice Renzi, e ancora una volta non si può che essere d’accordo. Certo, tranne i suoi detrattori, e tutti quelli che hanno una ragione particolare per rompere le palle, indipendentemente che si tratti dell’estetista della Moretti, del gelato della Boschi o del Job Acts (che, mi preme ricordare, hanno lo stesso peso SOLO per chi critica, gli altri lo sanno benissimo che son cose diverse).
Sintetizzo alcuni punti a sostegno della mia affermazione
1. In italia siamo preoccupatissimi da sempre per l’astensione. la sinistra addirittura fa della ricerca del voto dell’astenuto (che secondo alcuni geni varrebbe doppio) un inutile dogma, in quanto irrealizzato. Nel resto del mondo, invece, ci si adegua all’idea che non tutti abbiano intenzione di esprimere il proprio voto. Negli Stati Uniti (Oddio, ma l’America mica è una democrazia, che esempio fai, vade retro States…) l’astensionismo raggiunge spesso il 50%. Nelle elezioni Cilene dello scorso anno (sì, proprio il Cile, quello dove c’è stata la Dittatura, quindi ora i cittadini sanno bene il valore della democrazia) la Bachelet ha vinto ma l’astensione è stata del 59%. In Italia qualcuno avrebbe messo in discussione la validità delle elezioni di certo. Nel resto del mondo naturalmente no.
2. Chi si occupa di flussi elettorali analizza da anni che una maggiore affluenza favorisce il centrodestra, e una minore affluenza favorisce il centrosinistra. Perché nel centrosinistra, nonostante i mugugni, l’elettore ha la vocazione al voto, anche con turamento di naso, mentre più spesso il centrodestra è composto da elettori di opinione, che oggi votano e domani no. Infatti, in entrambe le regioni in cui si è votato, il centrosinistra ha vinto con assoluta tranquillità. Ergo, tutta sta critica al centrosinistra ma soprattutto a Renzi in cosa si concretizza, realmente?
3. E’ evidente ai più che ci sono elezioni in cui l’affluenza rimane più alta (le politiche e le comunali, le prime per il rilievo nazionale, le seconde per l’aspetto locale) e altre in cui è minore (il fanalino di coda sono le Europee, ma penso che subito dopo vengano le regionali). Quindi la disaffezione al voto è parzialmente legata alla tipologia di elezione, e all’importanza che riveste per l’elettore. D’altro canto sarebbe assurdo non notare come l’influenza dei media nazionali va a modificare sia l’affluenza che l’orientamento dell’elettore. Per esempio: se metti insieme politiche e amministrative, spesso si trova che il traino nazionale modifica l’orientamento presunto dell’elezione comunale (pensiamo alle amministrative del 2008 a Treviso). Allo stesso modo, è da sciocchi pensare che un’elezione che non si svolge a livello nazionale, ma solo in due regioni, non abbia anche in quelle due regioni una risonanza decisamente minore di quella che avrebbe se tutte le regioni votassero contemporaneamente, godendo dell’ombrello del dibattito nazionale.
Tutto questo per dire, appunto, che la scarsa affluenza non diminuisce la democraticità del voto (alla faccia di chi pensa inutilmente che non votare sia una manifestazione di pensiero contrario), dal momento che il suffragio è universale, ma la scelta o la non scelta dell’elettore è pure un suo diritto. (e lo dico da storica avversatrice del suffragio universale medesimo. A me che certi individui abbiano accesso all’elettorato attivo e passivo fa venir la nausea). Voto che, al di là dello scontro politico sulle scelte del governo, premia il governo medesimo.
Non si tratta di essere dei geni, basta prendere atto dei dati di realtà.
Per esempio, che il sindacato sia in grado di modificare le tendenze di voto in termini di affluenza e di orientamento, beh, vorrei davvero che qualcuno me lo sapesse dimostrare scientificamente, visto che fino a quando non si è suicidata da sola, metà degli iscritti anche alla CGIL di Treviso votavano Lega. ma dai….