di Fabrizio Rondolino, da Vanity Fair del 24 giugno
Un partito che tira un sospiro di sollievo per aver perso quattro milioni di voti in un anno non meriterebbe attenzione, se non si trattasse del maggior partito di opposizione. L’ultima trovata del PD è Debora Serracchiani, prima candidata al Parlamento UE in virtù di un intervento polemico che ha spopolato su Youtube, quindi eletta a furor di preferenza (in Friuli ha battutto persino Berlusconi), e oggi candidata alla vicesegreteria del partito. Sembra che l’idea sia di Veltroni, che così bloccherebbe non si sa quale piano di D’Alema, o di Franceschini, che così rimarrebbe segretario anche dopo il congresso di ottobre: a me pare stupefacente che sia stata anche solo presa in considerazione.
Debora Serracchiani è carina, predica il “rinnovamento” e buca il video, va forte su Internet. Ma queste qualità non bastano a selezionare una classe dirigente. Per quanto stuprata dall’immagine, la politica ha ancora bisogno di sostanza per funzionare, persino in Italia. La sinistra non è mai stata così debole, divisa, impotente e rissosa. Nessuno sa esattamente che cosa sia il Pd, quale progetto abbia per il futuro del Paese, che cosa abbia da dire ai giovani sulla formazione e sul lavoro, quali alleanze intenda stringere. Smentita dai fatti la sciocchezza veltroniana dell'”autosufficienza”, il Pd si ritrova oggi conmpletamente isolato e senza identità. DI fronte a questo scenario di rovine, si appresta a celebrare il rito del “rinnovamento” incoronando una brava funzionaria di partito alla soglia dei quarant’anni. Divenuta l’icona di un rinnovamento che non si vuol fare, Debora Serracchiani sembra l’alibi perfetto, insieme alla “non-vittoria” di Berlusconi, per consentire al Pd di proseguire nel suo sprofondamento autoreferenziale.